ALIFE. Non c’è Pace tra gli ulivi dell’Ambiente palestinese e israeliano.

Ad Alife i reperti di Roma, caput mundi, sono molti e bella è la fontana davanti la storica cattedrale che ricorda anche l’Alife Romana.

Prof. Giuseppe Pace (Esperto Internazionale di Ecologia Umana).

“Non c’è Pace tra gli ulivi”, mi appellava spesso un gioviale compagno di classe alifano, Giovanni Guadagno, all’ITIS di Piedimonte Matese nel 1966. Poi Guadagno morì prematuramente, mi riferi l’altro gioviale compagno di classe V. Di Franco e il fratello Lucio, oggi bravo dentista. Peccato che, Guadagno, il mio amico alifano sia morto, era un giovane cordiale e dotato di humor sorprendente che rallegrava l’intera classe. Parafrasando quello che mi diceva, si può affermare che nell’Ambiente del Vicino Oriente non c’è Pace tra gli ulivi. L’Ambiente globale politico ne risente e a volte si ha l’impressione che siamo in un’epoca storica da postcrociate tra islamisti e cattolici. Prepara la guerra se vuoi la Pace e ancora oggi gli esperti consiglieri presidenziali lo fecero con J. F. Kennedi, con D. Trump e con il capo della Corea del Nord. Oggi, questi ultimi due, hanno realizzato, pare, la Pace dopo un’intensa e ripetuta minaccia di guerra. L’Ambiente, soprattutto politico, dentro e fuori dei territori degli Stati d’Israele e di Palestina, è ricco di flussi di relazioni che vi entrano e vi escono in continuazione. Esse danno un’immagine del vicino oriente senza pace attuale, né del recente passato. Un Ambiente (insieme di Natura e Cultura) è sempre un oggetto-soggetto immerso in un flusso di relazioni e quelle virtuali o digitali, in un’epoca di globalizzazione, abbondano. L’Ambiente del Vicino Oriente, con Israele e la Palestina a centro dei riflettori digitali, sembra essere da postcrociate. I media che diffondono nell’Ambiente mondiale le informazioni e le immagini, che giungono ai confini tra i territori israeliano-palestinesi, le danno commentate con molta partigianeria per gli arabi oppure, in minore numero, per gli ebrei. In questo periodo la decisione del Presidente degli Stati Uniti d’America di volere la propria ambasciata a Gerusalemme sta dinamizzando l’Ambiente, poco pacifico tra ebrei e arabo-palestinesi. Non pochi sono i morti tra i giovani arabo-palestinesi che lanciano pietre sui militari con la stella di Davide, ai confini territoriali israeliani. L’Onu del 1948 è cambiato, non in meglio e il pensiero “moderato” dei 27 Paesi dell’Unione Europea in modo speciale non aiuta la distensione arabo-israeliana. Il Vaticano diretto da Francesco poi non aiuta la semplificazione ambientale e associandosi ai più forse la rende più instabile. “Se vuoi la pace prepara la guerra”, dice un monito che proviene dall’Ambiente storico del passato. L’antica Roma, caput mundi, lo applicava spesso e sembra che tale monito nell’Ambiente politico di Donald Trump sia ben noto ed applicato. Ad Alife i reperti di Roma, caput mundi, sono molti e bella è la fontana davanti la storica cattedrale che ricorda anche l’Alife Romana. Gli Stati Uniti hanno invitato pochi ambasciatori nell’ambiente festoso di inaugurazione del cambio di sede dell’Ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme. Il primo maggio c. a. a Mosca ha fatto stupire, gli ingenui osservatori, la presenza sul palco delle Autorità, a sorpresa, del Primo Ministro dell’Ambiente politico israeliano. Egli era accanto a Vladimir Putin, che ha reso omaggio, ancora una volta, all’Olocausto subito dal popolo ebreo durante il nazismo così come subì pesantissime perdite il popolo russo (oltre 21 milioni morirono tra militari e civili). Fu proprio l’Olocausto degli ebrei a scuotere l’Ambiente mondiale, e i socialisti in particolare del secondo dopoguerra mondiale. Tale diverso Ambiente politico determinò la votazione dell’Onu per istituire lo Stato d’Israele nel vicino oriente, sia pure con il voto contrario dei Paesi arabi. L’Ambiente politico mondiale attuale è molto cambiato rispetto a quello del 1948 e il moderatismo sta causando non pochi danni agli equilibri politici in diverse parti dell’Ambiente globale. L’Ambiente politico israeliano, e non solo, nei 73 anni trascorsi dalla fine dell’Olocausto degli oltre 6 milioni di ebrei uccisi “disumanamente” da Hitler, dovrebbe essere monito per tutti prima di assecondare le varie forme di quasi dittature dei poco democratici Ambienti arabi esistenti. L’Ecologia Umana è una scienza di sintesi tra le molte discipline, che le fa interagire, con capacità anche transdisciplinari. Il punto di lettura ambientale dell’Ecologo Umano dovrebbe essere neutrale come quello di qualunque Tecnico, ma potrebbe anche essere inficiato dall’appartenenza ad una cultura prevalente? Non dovrebbe, se è Tecnico o specialista, altrimenti bisogna sceglierlo, ammesso che ve ne siano, tra quelli immersi in culture religiose esterne ai cristiani e ai musulmani. Anni fa frequentai un corso internazionale di Ecologia Umana in un consorzio di Università tra cui quella di Padova. Allora appresi un approccio di studio che è utile per esaminare gli Ambienti nei diversi territorio planetari. L’Ambiente attuale per essere letto bene non può che fare riferimento principale a quello storico del passato senza cedere all’Accademia o ridondanza retorica. Dal media italiano “Il Foglio” del 19 c. m. si rileva un interessante articolo che fa un escursus storico sugli ultimi 70 anni e rileggere le parole di Golda Meir dopo gli scontri e i morti di Gaza. L’escursus storico illumina meglio anche il Tecnico di Ecologia Umana Internazionale, come lo scrivente. Ma leggiamo ciò che pubblica il media prima citato in merito al cambio degli equilibri ambientali internazionali: ”Golda Meir, donna e laburista, nel novembre 1972: “Io credo che la guerra nel medio oriente durerà ancora molti, molti anni. E le dico perché. Per l’indifferenza con cui i capi arabi mandano a morire la propria gente, per il poco conto in cui tengono la vita umana, per l’incapacità dei popoli arabi a ribellarsi e a dire basta”. Ancora Golda Meir: “Alla pace con gli arabi si potrebbe arrivare solo attraverso una loro evoluzione che includesse la democrazia. Ma ovunque giri gli occhi e li guardi, non vedo ombra di democrazia. Solo regimi dittatoriali. E un dittatore non deve rendere conto al suo popolo di una pace che non fa. Neppure dei morti”. Sempre Golda Meir: “Noi vi potremmo un giorno perdonare per aver ucciso i nostri figli, ma non vi perdoneremo mai per averci costretto ad uccidere i vostri. Una possibilità di pace esisterà quando gli arabi dimostreranno di amare i propri figli più di quanto odino noi”. Rabin o Peres, Ben Gurion o Sharon, Barak o Netanyahu, Eshkol o Begin, socialisti o conservatori, sottoscrissero tutti queste frasi, o le avrebbero sottoscritte. Ma ancora Israele non compare sui libri di testo delle scuole elementari di Ramallah, pagati dall’Onu e dall’Europa. L’odio di là resiste. Altri media danno spazio ad escursus sulla propaganda filoaraba contro Israele che non sarebbe pacifico, ma guerrafondaio, ecc.. Questi altri giornalisti sui media scrivono:”Molti dei fondatori dello stato di Israele volevano che diventasse il faro di un mondo migliore. Ma la loro visione è stata tradita, e Israele oggi è governata da un regime brutale, razzista e repressivo, che merita la condanna del mondo. Non solo a parole, ma con le azioni: Le vite dei palestinesi contano — Sanzioni a Israele! Si è tentata praticamente ogni strada possibile, per decenni, per incoraggiare Israele a trattare meglio i palestinesi, e continuano a trattarli sempre peggio. Sanzioni mirate, per esempio sui diamanti insanguinati, un boicottaggio delle armi (Israele vende armi ad alcuni dei regimi più violenti al mondo), così come sanzioni tecnologiche o culturali (come bandire squadre israeliane dagli eventi sportivi o dal concorso di Eurovision) potrebbero finalmente influenzare i calcoli del governo. Due dei leader più disonesti e pericolosi del mondo di oggi sono il presidente americano Donald Trump e il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Come tutti gli altri estremisti, sognano un mondo in cui persone in buona fede perdano il loro giudizio oggettivo e si schierino in due campi contrapposti, dei quali loro ne comandano uno. Dimostriamogli che non funzionerà, che i cittadini del mondo non verranno risucchiati nella loro propaganda dell’odio, e che siamo ancora in grado di vedere il razzismo e la violenza per quello che sono, e reagire. Che non possono toglierci la nostra umanità, e che non gli permetteremo di togliere ulteriore libertà e dignità al popolo palestinese. Con speranza e determinazione, Ricken, Christoph, Emma, Fadi, Pascal, Rewan, Fatima, Diego e tutto il team di Avaaz PS: Più del 75% dei membri di Avaaz ha votato a favore di questa campagna, con solo l’8% contrario. Che ci crediate o no, a riprova di quanto incredibilmente potente sia la lobby dell’estrema destra israeliana, si può essere perseguiti in molti paesi, come in alcuni degli stati USA, e in Francia, Germania e Israele, se si chiedono boicottaggi o sanzioni contro Israele, a prescindere dalle motivazioni. Sostenuti dalla stragrande maggioranza dei nostri membri, per la prima volta Avaaz rifiuterà, apertamente e con orgoglio, di obbedire a queste leggi che violano i nostri diritti umani e costituzionali alla libertà di espressione”. Il linguaggio appare filoarabo? Loro dicono di no! Ma rileggiamo un po’ l’Ambiente storico, basilare per capire l’Ambiente tra ebrei-cattolici e arabi oggi. Il Mandato britannico della Palestina fu un’istituzione storica, derivato dagli accordi Sykes-Picot del 1916, che permise alla Gran Bretagna di governare la Palestina tra il 1920 e il 1948, dopo la sconfitta dell’Impero ottomano del 1918. Le Nazioni Unite decisero (con la Risoluzione 181), con il voto favorevole di 33 nazioni, quello contrario di 13 (tra cui gli Stati arabi) e l’astensione di 10 nazioni (tra cui la stessa Gran Bretagna, che rifiutò apertamente di seguire le raccomandazioni del piano, ritenendo, in base alle sue precedenti esperienze, che si sarebbe rivelato inaccettabile sia per gli ebrei sia per gli arabi), la suddivisione o spartizione della Palestina in due Stati, uno arabo e uno ebraico, il controllo dell’Onu su Gerusalemme e chiesero la fine del mandato britannico non oltre l’1 agosto 1948. Le reazioni alla risoluzione dell’Onu furono diversificate: la maggior parte dei gruppi ebraici, l’accettò, pur lamentando la non continuità territoriale tra le varie aree assegnate al loro stato. Gruppi più estremisti la rifiutarono, essendo contrari alla presenza di uno Stato arabo in quella che era considerata “la Grande Israele” e al controllo internazionale di Gerusalemme. Tra i gruppi arabi la proposta fu rifiutata, ma con posizioni diversificate: alcuni negavano totalmente la possibilità della creazione di uno Stato ebraico, altri erano possibilisti, ma criticavano la spartizione del territorio, sia perché i confini decisi per lo Stato arabo, avrebbero, secondo loro, limitato i contatti con le altre nazioni, e non avrebbe avuto sbocchi sul Mar Rosso e sul Mar di Galilea (quest’ultimo la principale risorsa idrica della zona), oltre al fatto che sarebbe stato assegnato loro solo un terzo della costa mediterranea; altri ancora erano contrari per via del fatto che a quella che era una minoranza ebraica (circa un terzo della popolazione totale della Palestina) e che possedeva nel 1947 meno del 10% del territorio sarebbe stata assegnata la maggioranza della Palestina. Le nazioni arabe, contrarie alla suddivisione del territorio e alla creazione di uno stato ebraico, fecero ricorso alla Corte Internazionale di Giustizia, sostenendo la non competenza dell’Assemblea delle Nazioni Unite nel decidere la ripartizione di un territorio andando contro la volontà della maggioranza (araba) dei suoi residenti, ma il ricorso fu respinto. Allo Stato ebraico sarebbe toccato dunque circa il 55% di quel 27% della terra originariamente affidata al Mandato britannico (originariamente comprendente anche il territorio della Giordania, ceduta agli arabi nel 1922), con una popolazione mista (55% di origine ebraica e 45% di origine araba), Gerusalemme sarebbe rimasta sotto il controllo internazionale, mentre il restante territorio (quasi del tutto abitato dalla preesistente popolazione araba) sarebbe stato assegnato allo Stato arabo. Tra le due guerre mondiali molti ebrei dall’Ambiente mondiale raggiunsero lo Stato d’Israele e nell’Ambiente della Palestina cominciarono i contrasti tra le due grosse comunità per diversi modi di sviluppare l’economia soprattutto agricola: estensiva quella araba, intensiva quella ebraica. Con la seconda guerra mondiale l’ambiente politico mutò: i coloni ebrei e i vari gruppi più o meno legali che si erano creati si schierarono con gli Alleati mentre molti gruppi arabi guardarono con interesse l’Asse, nella speranza che una sua vittoria servisse a liberarli dalla presenza britannica. Il Mufti di Gerusalemme Amin al-Husayni incontrò Hitler e si prodigò per il reclutamento di musulmani nelle formazioni delle Waffen-SS internazionali. Le tensioni in zona si aggravarono moltissimo quando si rivelò l’eccidio dell’Olocausto. In Gran Bretagna i laburisti erano favorevoli a uno stato ebraico, soprattutto per l’aiuto che le organizzazioni sioniste diedero agli alleati durante lo sforzo bellico. Ma altri non furono d’accordo: il ministro degli Esteri britannico era convinto che avrebbero dovuto essere favorevoli agli arabi – secondo alcuni per interessi petroliferi – piuttosto che agli ebrei e vi era anche l’opinione che una continua presenza britannica in Palestina avrebbe fornito un avamposto strategico per il vicino oriente. La convivenza pacifica tra arabi ed ebrei in Palestina non ha ancora raggiunto la pace tra gli ulivi di quell’ambiente più mediterraneo ed europeo che asiatico, più cattolico che islamico. La Pace si realizza non si predica come a me pare che faccia sempre il nostro Papa da Roma, che dovrebbe avere più profondità culturale storica e non assecondare solo il carro pacifista della maggioranza dell’Onu moderata.

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