Condannati ancora prima del processo, la gogna mediatica avvelena la Giustizia.

Il Codice Rosso ha introdotto una sorta di quarto grado di giudizio, preliminare al primo: le misure cautelari disposte entro tre giorni dal PM, esclusivamente sulla scorta della narrazione della sedicente vittima…

Gogna mediatica ed errori giudiziari sono temi che tornano periodicamente al centro del dibattito politico. Senza mai arrivare ad una soluzione. Il Sole 24ore pubblica due autorevolissimi pareri: Felice Giuffré, membro laico CSM, ed Ida Nicotra, costituzionalista.

Felice Giuffrè: “Uno dei profili fondamentali è quello di evitare che già l’indagine a carico di un cittadino costituisca per il medesimo una condanna. Negli ultimi decenni il cittadino (il quale, per Costituzione, è presunto innocente sino a condanna definitiva) è stato troppo spesso esposto a veri e propri linciaggi mediatici. La sua onorabilità, quindi, era irrimediabilmente macchiata ancor prima di subire il processo. Anzi, ancora prima di essere rinviato a giudizio. Tale situazione è profondamente contraria ai principi dello stato di diritto, alla tutela della dignità della persona e anche al modello processuale accusatorio. Infatti, l’accertamento della responsabilità penale può avvenire soltanto in esito ad un dibattimento in cui, davanti a un giudice terzo ed imparziale, accusa e difesa disvelano le proprie ‘carte processuali’ al fine di stabilire la ‘verità giudiziaria’. È questa la differenza fra il sistema accusatorio e quello inquisitorio (…) La libertà di stampa e di informazione, come tutte le libertà, devono essere bilanciate con gli altri diritti e le libertà costituzionali e, innanzitutto, con la dignità sociale della persona. Quest’ultima può subire una degradazione solo in esito ad una sentenza penale di condanna e, in particolare, a seguito di una sentenza passata in giudicato. Si deve, quindi, scongiurare qualsiasi ombra nei confronti del cittadino prima che si sia accertata la sua reale responsabilità”.

Ida Nicotra: “Il rispetto della persona è al centro dell’architettura costituzionale e si specchia nel principio contenuto nell’art. 27 della Costituzione secondo cui ‘l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva’. Si tratta di un ‘valore–pilastro’ delle moderne liberaldemocrazie che, tuttavia, si scontra con una realtà ben diversa, in cui la condanna avviene di fatto già dopo l’avviso di garanzia, con il ‘mostro’ sbattuto nelle prime pagine dei giornali. Le conseguenze per l’indagato sono devastanti, umiliato pubblicamente e ricadute negative sulla sua vita privata e professionale. Magari alla fine del processo verrà assolto, ma rimarrà per sempre segnato dalle indicibili sofferenze patite a causa dell’ingiustizia subita”. Come dimostro tramite lavoro che svolgo con il CSA, una piccola parte del quale pubblicato con mille esempi in questo profilo, l’accanimento antimaschile entra in rotta di collisione con quanto sostengono un membro del CSM ed una costituzionalista.NB: non io, un membro del CSM ed una costituzionalista.Rivelatrici in particolare le parole di Giuffré: “È questa la differenza fra il sistema accusatorio e quello inquisitorio”.

Ecco, l’accanimento antimaschile assume i contorni di un sistema inquisitorio che, non solo mediaticamente, condanna l’indagato prima ancora che abbia inizio il processo. Il Codice Rosso ha introdotto una sorta di quarto grado di giudizio, preliminare al primo: le misure cautelari disposte entro tre giorni dal PM, esclusivamente sulla scorta della narrazione della sedicente vittima, costituiscono di fatto una limitazione delle libertà personali dell’accusato ancora prima che venga incardinato il processo. Poi con calma, piano piano, senza fretta, il sistema giudiziario italiano (con la nota sollecitudine che lo vede primeggiare nel mondo in quanto a velocità della giustizia), verifica se ci fossero concreti motivi per disporre divieti di avvicinamento, divieti di comunicazione, divieti di dimora, braccialetti elettronici, arresti domiciliari o persino detenzione in carcere. Intanto, come dicono autorevolissime fonti – e da diversi anni , molto più modestamente, anche io – l’accusato è colpevole per la giustizia che ne limita la libertà e per i media che danno per certe le accuse, anche attraverso titoli e foto che, persino dopo l’assoluzione, contrastano con la verità emersa in tribunale.

L’articolo de Il Sole termina elencando alcuni casi eclatanti di politici ed imprenditori assolti dopo essere stati sbattuti in prima pagina per accuse che poi si sono rivelate prive di fondatezza. Andando oltre i processi-VIP, preferisco pensare alle decine di migliaia di anonimi poveri cristi distrutti da accuse false, la cui vita viene comunque segnata indelebilmente anche se, dopo anni, il processo ne riconosce l’innocenza.

Condannati ancora prima del processo, la gogna mediatica avvelena la Giustizia – QdS

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