ROCCAROMANA. Due Roccaromanesi, imputati di diffamazioni, minacce e atti persecutori, condizionano la vita e la salute di una coppia di Statigliano.
Avevamo assicurato che avremmo seguito, attraverso le varie udienze, tenendovi puntati i riflettori, questo processo che si sta celebrando presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, che vede alla sbarra tal Di Marco Antonio di Roccaromana, imputato di diffamazione aggravata e reiterata ( artt. 595 3° comma c.p. e art. 81 c.p.), e tal Parillo Claudio, all’epoca dei fatti era residente a Statigliano, oggi trasferitosi nel vicino Comune di Baia e Latina, imputato, oltre che di diffamazione, anche di aver posto in essere minacce e atti persecutori reiterati (art. 612 bis c.p)
I fatti risalgono al periodo 2017 -2020.
La parte offesa è una coppia di Statigliano, lei, Vittoria Longo, una ricercatrice e scrittrice, docente presso un Istituto secondario di Piedimonte Matese; e lui, Pappalardo Alfredo, un Dirigente scolastico in pensione trasferitosi dalla Sicilia.
Per mesi essi sono stati fatti oggetto di diffamazioni e minacce suisocial e, in questo clima persecutorio, hanno subito l’incendio doloso della loro auto parcheggiata nel viale di casa.
Durante l’interrogatorio, presenti in udienza i due imputati e le parti offese, è emerso che nella sera del 16 aprile 2017, un’auto avrebbe tentato, anche a più riprese, di tamponare, in corsa, l’auto della professoressa Longo, e che il fatto sarebbe successo mentre erano bordo, oltre al compagno della professoressa, anche il figlio minore e che tale episodio ha ingenerato condizioni di forte tensione e di panico nel bambino, stato di agitazione che si è protratto poi anche nei giorni successivi all’accaduto.
I testi presenti non sono stati sentiti tutti perché l’udienza è stata aggiornata, per motivi tecnico procedurali, al 18 ottobre, data in cui dovrebbero essere definite alcune perplessità di carattere processuale sollevate dai difensori.
La lettura dei capi di imputazione dà la misura della gravità dei reati contestati ai due imputati che, secondo gli articoli del codice penale, rischierebbero la pena della reclusione fino a due anni, ovvero la multa fino a duemilasessantacinque euro per il reato di diffamazione, mentre per gli atti persecutori la pena sarebbe ben più grave, infatti l’art. 612-bis (Atti persecutori) così recita: “Salvo che il fatto non costituisca più grave reato, è prevista la reclusione da sei mesi a quattro anni” per chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata darelazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare leproprie abitudini di vita, ancor più grave se ad essere sottoposto a minaccia fosse stato un minore…
La gravità dei reati ascritti emergerebbe anche dal fatto che a tutti e due gli imputati è stato contestato, nel rinvio a giudizio, anche l’art. 81 che prevede l’applicazione della pena prevista per la violazione più grave aumentata sino al triplo.
I coniugi, che sarebbero le vittime dei due imputati e che si sono costituiti parti civili nel processo, durante la loro deposizione, entrambi, con dovizia di particolari, hanno evidenziato che le diffamazioni, le minacce e gli atti persecutori di cui sarebbero stati i destinatari durerebbero ancora e con tale pervicacia da condizionare la loro vita nel quotidiano e la loro salute.
L’auspicio è una celere conclusione del processo e l’affermazione della giustizia invocata.