No ai Presidi che rubano in una scuola italiana di qualità culturale erogata da migliorare.
la Dirigente Scolastica che rubava nella scuola di Palermo non è affatto un caso isolato ma la punta di iceberg di un fenomeno, purtroppo, diffuso.
di Giuseppe Pace, già docente in Italia ed estero.
Ogni anno l’Ocse misura la qualità culturale delle scuole in molti Paesi. L’Italia non ne esce bene, sia pure differenziando scuole poste al sud, centro e nord. Ma di Presidi, pardon Dirigenti Scolastici, che rubano non esiste ancora un’indagine realistica e i casi indagati dalla Magistratura pare che non siano moltissimi come, invece, potrebbero essere se le denunce venissero alla luce della trasparenza democratica che il Legislatore ha previsto.
Da cittadino e non suddito (come scrivo nel mio ultimo saggio ambientale “Canale di Pace. Evoluzione del cittadino”, Amazon II ed. 2023, dico che la Dirigente Scolastica che rubava nella scuola di Palermo non è affatto un caso isolato ma la punta di iceberg di un fenomeno, purtroppo, diffuso. Non mi sento di condividere la quasi difesa d’ufficio del preside dell’Istituto Nautico di Genova-Camogli, che comunque cita anche altri casi come nel 2019 in provincia di Imperia, grazie alla segnalazione dello staff; ad oggi la vicenda si è conclusa con la condanna di due anni e otto mesi di carcere e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Quando quel Preside si domanda se i casi emersi dalla cronaca siano solo la punta dell’iceberg, oppure se siano isolati, io propendo per la prima ipotesi e non per la seconda come fa chi si interroga. Secondo me, invece, i Dirigenti Scolastici sono osservati di sfuggita dal personale scolastico dipendente gerarchicamente, Ata e docenti. I più sono impiegati statali che spesso fanno finta di fare per il fenomeno della secolarizzazione o indifferenza al servizio erogato.
Comportamenti illegali gravi possono osservarli i Consiglieri d’Istituto che un genitore li presiede. Ma anche tra questi c’è la figura apicale del preside che sa nascondere bene le sue eventuali tendenze alle corruttele quando deve far scegliere la ditta che vende computer, banchi, aprire il bar interno, oppure avere il conto corrente dei dipendenti della scuola in quella banca generosa con chi gliene procura molti tutti insieme. Per non parlare dei lavori di rifacimento del tetto, delle finestre, della tinteggiatura, ecc. dell’edificio o edifici scolastici.
Sono stato spesso negli Organi Collegiali Scolastici, istituiti dal 1974 con i noti Decreti Delegati. Allora ero in Liguria, da novizio docente, e vedevo lo scetticismo dei colleghi più anziani e l’entusiasmo dei meno stagionati d’età e d’esperienza d’insegnare. Una volta, ma non più in Liguria ma in Veneto, assistetti alla disputa tra chi voleva controllare e chi non voleva essere controllato, lascio a voi immaginare chi era il secondo. Nella scuola si verifica spesso quello che succede in molti comuni italiani, dove i sindaci sono in numero quasi pari ai presidi.
Non pochi comuni hanno un bilancio in profondo rosso, ma i sindaci fanno finta di ignorarli e gli organi di controllo fanno finta di non sapere e non vedere. Ma allora siamo allo “Stato criminogeno” come titolava il suo libro G. Tremonti, già ministro dell’Economia italiana? Potrebbe essere. Dei quasi 9 mila presidi italiani ne salverei meno della metà per il rigore morale e soprattutto per la qualità pedagogica e culturale che sanno promuovere su livelli di qualità non mediocre.
Ritornando sugli appalti nelle scuole, non credo che sfuggano al calcolo che la Corte dei Conti fa ogni anno di 60 miliardi di corruzione nella Pubblica Amministrazione del nostro Bel Paese. Dal 1974 i Decreti Delegati hanno soppressa la nota di qualifica che i preside potevano dare a fine anno ai docenti, rimasta solo per gli Ata. E meno male, ma ciò non toglie che il potere intimidatorio, che i Dirigenti Scolastici hanno, sia ben contrastato dai dipendenti, docenti soprattutto. Questi sembrano a maggioranza disinteressati dei problemi democratici concreti come far parte delle Rsu, dei Consigli d’Istituto, ecc.
Molti sono interessati solo a come allungare il ponte di fine settimana o certificare malattie inesistenti per non andare a scuola, e, per cortesia, non diciamo che è fisiologico con altre categorie di dipendenti che seppur vero non è da paragonare ai pubblici dipendenti o pubblici ufficiali. Oggi nelle scuole italiane molti presidi chiosano troppe circolari interne (brutte copie di quelle ministeriali), perfino di come i docenti dovrebbero direzionare l’atto della minzione nei servizi igienici scolastici, assecondando il fedelissimo collaboratore scolastico, che potrebbe protestare anche per sorridere insieme al preside agli altri colleghi Ata.
Molti presidi si firmano dottori e vogliono che gli Ata li chiamino tali. E i docenti che pure lo sono, a maggioranza, non vengono appellati come tali. Di Dottore c’è ne deve essere solo uno: il Capo d’Istituto. Ho insegnato pure all’estero, ma una dequalificazione del sistema d’istruzione come lo vedo in Italia è difficile trovarlo al Nord del mondo civile. Insegnare significa lasciare il segno scrissi in un giornale scolastico dell’ultima scuola di servizio prima della quiescenza nel 2009. Il segno può essere superficiale, profondo, inesistente, positivo, negativo, ecc.. Con la regionalizzazione del sistema d’istruzione spero si riformi in meglio la scuola, che dia più potere non ai presidi statalisti per nascondersi bene nell’efficientismo di maniera, ma ai fruitori del servizio facendogli scegliere anche i docenti disciplinari, i presidi, il personale ausiliario. Quando avremo una scuola libera potremmo sperare di migliorarla e perfezionarla, questa pubblica non credo dopo 40 anni che vi ho lavorato. Se leggiamo solo le autogratificazioni dei presidi, come quella di Palermo che aveva attestati presidenziali, oppure dei difensori ad oltranza della scuola statale, non saremmo mai informati della scuola reale capace pure di negare di uscire ad uno studente maggiorenne con febbre alta!