Donne e false accuse. L’allarmificio e… la trasparenza che non è mai stata una caratteristica dei CAV: il 4% delle denunce arrivano a condanna.
Quali altre norme restrittive verranno varate per fronteggiare un’emergenza che emergenza non è? Inculcare nella popolazione un bisogno di protezione grave ed urgente, per cui diventa indispensabile correre ai ripari con…
di Fabio Nestola
Sta vivendo una ciclica giovinezza l’allarmificio, una sequela di numeri equivoci sparati da tanti trombettieri di regime che non sanno – o fingono di non sapere – che la voce “donne uccise” non equivale alla voce “femminicidi”.
Tante fonti giornalistiche, sia televisive che di carta stampata, citano il solito slogan “una vittima ogni tre giorni” (circola anche “ogni due giorni”) per costruire l’immancabile allarme sovradimensionato. La voce “donne uccise” e la voce “femminicidi” non sono sovrapponibili. La prima comprende bambine, adolescenti, donne adulte o anziane uccise da chiunque e per qualunque motivo: trentennali faide familiari, esecuzioni mafiose, debiti, droga, eredità contese, rapine, etc. La seconda, pur non esistendo come fattispecie autonoma di reato, dovrebbe comprendere le donne uccise dal maschio tossico, patriarcale, misogino, oppressore, possessivo e fallocrate che esercita il proprio dominio sulla donna fino a toglierle la vita.
Scrivo “dovrebbe comprendere” poiché una definizione ufficiale di femminicidio non è mai stata data da alcun Ente istituzionale, nemmeno dalla Commissione Femminicidio che dovrebbe essere la più autorevole fonte in materia. A cascata, dopo il femminicidio, si susseguono allarmi a pioggia per una cronica violenza maschile che metterebbe in pericolo qualsiasi donna nel nostro Paese.
Nulla accade per caso, quindi cosa bolle in pentola? Quali altre norme restrittive verranno varate per fronteggiare un’emergenza che emergenza non è? Costruirla artificialmente serve proprio a questo: inculcare nella popolazione un bisogno di protezione grave ed urgente, per cui diventa indispensabile correre ai ripari con norme restrittive.
Che poi non servono a prevenire nulla, ma l’importante è vararle. Prendiamo ad esempio, uno fra tanti, il comunicato di Telefono Rosa Piemonte che a fronte di quasi 5.000 contatti online dichiara di avere accolto 760 donne vittime di violenza, di cui 330 vittime di violenza fisica. Non è chiaro cosa voglia dire “accolte”, ma la trasparenza non è mai stata una caratteristica dei CAV.
“Buongiorno, entra pure” è accoglienza, come pure può esserlo compilare un modulo o “ti diamo un avvocato gratis”, “ti diamo sostegno psicologico gratis”, “ti guidiamo nel fare una denuncia”, “ti ospitiamo in una casa rifugio”, “ti spieghiamo quanto tu sia oppressa”, o altro ancora. Sarebbe interessante sapere quante delle 760 vittime di violenza lo siano davvero, in quanti casi cioè, all’esito delle indagini, la sedicente vittima risulti non esserlo affatto poiché il percorso giudiziario si conclude per archiviazione, proscioglimento o assoluzione.
Questi dati, chissà perché, i CAV non li pubblicano mai; veramente non conoscono il fenomeno delle false accuse, o lo conoscono ma sarebbe svantaggioso ammetterlo? Il report continua gonfiando l’allarme, come da copione. I CAV, in trincea, rilevano i segnali inequivocabili dei cosiddetti “reati spia”, cioè il rischio per le donne di essere uccise dal proprio partner o ex.Ecco, appunto: si torna sempre al femminicidio.Quindi è destinata ad essere uccisa ogni donna che presenta “il rischio alto o altissimo di ulteriori forme di violenza per le donne che ricorrono alla nostra associazione, dove altre forme di violenza sono rappresentate dalle 167 donne vittime di stalking o cyberstalking, 554 offese da violenza psicologica, 240 vittime di violenza economica”.
Stalking sui social, molestie, offese, violenza psicologica, violenza verbale e violenza economica sarebbero quindi, secondo Telefono Rosa, l’anticamera del femminicidio. Se poi non è vero niente, come nella stragrande maggioranza dei casi, la sedicente vittima è comunque una sopravvissuta al femminicidio.
Ancora: “il nostro report annuale ha come sempre tanti numeri, ma nella lettura dei dati non possiamo dimenticare che ogni numero rappresenta una storia individuale, un vissuto, una esperienza familiare, una mancata sicurezza”. Vero, ma non si può insistere su una chiave di lettura unidirezionale. Quanti di questi numeri rappresentano un innocente ingiustamente accusato, trascinato in tribunale, bersagliato da misure cautelari che non avevano ragione di esistere, distrutto dallo stigma sociale, aggredito nelle risorse economiche ed emotive, costretto a difendersi da accuse che poi – alla verifica giudiziaria – si dimostrano prive di fondatezza? Questa riflessione, tutt’altro che marginale in quanto riguarda circa il 90% delle denunce per i cosiddetti reati spia, non compare mai nei report dei vari CAV operanti in Italia.