VALLE AGRICOLA / LETINO. Aspetti ambientali dei comuni di Valle Agricola e Letino in costante calo demografico.

“chi ndrppca e nu car avanza caminu”… l’ultimo feudatario il barone Marco Aurelio Carbonelli… la fortezza di Gaeta, lo stemma, i poveri valligiani si rivoltano con donne incinte avanti al corteo e ai carabinieri… il libro dell’ex sindaco, il distaccamento da Prata… la strada per Ailano

di Giuseppe Pace

L’ambiente è un insieme di natura e cultura, dove la seconda primeggia. La natura nei comuni di Valle Agricola e Letino è diffusa, la cultura è concentrata negli antichi borghi anche se ha plasmato un po’ dappertutto il territorio che confina con Monte Cappello (1406 m) e Monte Nicola Pilla (1565 m) della piega di corrugamento tirrenica più bassa di quella adriatica.

Nei due comuni suddetti il clima è montano, ma meno rigido d’inverno nel primo che coltiva anche oliveti, vigneti, fave ed altre leguminose. Il territorio comunale si estende per 24,42 kmq e il faggio abbonda a Colle Scavenara, dove ha anche una piccola sorgente d’acqua fresca, altre sono a Fragneta,  Garenelle, Prece,  Querce e San Silvestro.

Il secondo comune ha un clima che non permette oliveti nè vigneti, tranne un po’ di uva fragola, mentre un bosco di noci era in località Canale, vicino la fontana antica di San Pietro, altre fontane a Rave Capo Sava, Capo Lete e altre decine che affluiscono nell’alto Lete.

Sia a Valle Agricola che a Letino abbonda l’origano spontaneo di cui si fa largo uso nella gastronomia locale e si vende ai mercati settimanali delle cittadine periferiche al Matese. A Letino si coltivavano molte patate, la segale e i boschi di faggi erano e sono ancora un primato tra quasi tutti i comuni matesini. Per molti secoli il territorio letinese è stato plasmato dalla transumanza, soprattutto degli ovini, con un tratturello che lambisce il reperto geopalentologico delle Rave, a forma di V, e che collegava Letino con Valle di Prata, Prata S., Pratella, ecc.

Il territorio comunale si estende per 31 km², con un’altitudine che varia dagli 828 m della località Cauto ai 1.725 della località Vallocchie Scure, non lontano da Monte Miletto. Il Castello di Letino domina l’abitato, a 1.200 metri di quota tra alta valle del Lete e del Sava, ciascuna con un lago omonimo.

Il maniero letinese fu fondato dai Longobardi nell’VIII sec. ed abbellito dai Normanni nell’XI sec., che vi ospitava una guarnigione permanente destinata a sorvegliare la zona dell’alto Matese. Il lato maggiore, posto sull’asse est ovest, è lungo 90 metri mentre il lato minore, posto sull’asse nor sud, è lungo 40 metri.

Nel corso dei secoli il Castello ha subito numerose trasformazioni e pochi sono gli scritti attendibili che meriterebbe. La cinta muraria, di forma irregolare, è intervallata da 5 torri d’avvistamento a pianta circolare con feritoie visibili a nord. All’interno della cinta muraria venne edificato nel XVII sec. il Santuario di Santa Maria del Castello che dal 1888 ospita il cimitero o camposanto letinese.

Don Antonio Gallinaro, parroco a Letino dal 1/11/1936 al 18/08/1944,  ha lasciato scritto qualcosa su Letino, una bella poesia a rime baciate, gli altri sacrati non hanno lasciato segno più tangibile. Il territorio comunale di Letino è stato sede di un insediamento sannita, come testimoniano alcune tracce archeologiche site in località “Campo delle Secine” e “San Pietro”: che sono i primi due insediamenti dei letinesi fino a quello attuale dell’VIII sec. d.C.. Nel XVI sec. fu feudo dei baroni Della Penna, poi dei d’Aragona e successivamente dei Carbonelli.

Sotto la reggenza di Ippolita d’Aragona vennero approvati gli Statuti, che riconoscevano una certa autonomia amministrativa ai letinesi. Nel 1531 il feudo di Letino venne valutato 1000 ducati, con una popolazione pari a 72 famiglie ed una rendita di trentanove ducati. Ultimo feudatario fu il barone Marco Aurelio Carbonelli, che governò sino all’abolizione del feudalesimo 1806 e dopo seguì le sorti del re Ferdinando IV di Borbone, che lo avrebbe nominato duca dopo la resa della fortezza di Gaeta, dov’era ministro di culto.

Se si osservano le variazioni demografiche di molti piccoli comuni italiani, si nota che alcuni sono in calo demografico da decenni. Due di tali comuni confinanti sono sul Matese alto: Valle Agricola e Letino. Attualmente il primo sfiora i 760 abitanti (con 1147 nel 1861 e 1602 nel 1991) e il secondo poco più di cento in meno (1207 nel 1861 e 1346 nel 1951).

Lo stemma comunale di Valle Agricola viene raffigurato per la prima volta nel catasto onciario del 1743: su campo di colore argento sono siti quattro punti di colore azzurro che simboleggiano i quattro rioni (o pizzi) attraverso i quali si è formato il borgo: Colle, Piscupanne, Pizzuni, Terra. La scritta V.D.P. ricorda l’antico nome (Valle di Piana). Valle di Prata era anche l’antico nome, poi cambiato in Valle Agricola e nel 1980 per pochi voti non passò la proposta di chiamarlo Valle Matese.

Nel 1934 i poveri valligiani si rivoltano con donne incinte avanti al corteo e ai carabinieri, perché non riescono a pagare le tasse e da allora vige per il comune il decreto di tolleranza. Per i letinesi i valligiani sono più facili alla rivolta sociale, senza però mea culpa del 1877 quando non si opposero a sufficienza alla scorribanda sanguinaria e di odio di classe ai nullafacenti Cafiero e Malatesta, che guidarono due decine di giovani armati e anarchici insurrezionalisti, che rappresentano l’infantilismo anarchico della storia sociale: al di là di epica storica campata in aria.

Letino, deriva il nome dal piccolo fiume Lete, come conferma, nel suo libro “Il Fiume” Lete, lo scrittore ed ex sindaco di Valle Agricola, l’avv. Lugi Cimino, presentato al Comune di Letino con il padre del sindaco attuale, Dr. Antonio Orsi. Lo stemma comunale è il castello coronato.

In epoca sannita Valle di Prata era tappa obbligata per i pastori che provenivano dalla bassa valle del fiume Lete in direzione dei pascoli montani di Letino e Gallo Matese. Tale antica usanza è stata confermata dal ritrovamento di diverse tombe sannitiche. Successivamente fu “vico” romano (borgo autonomo) e, nel medievo, il centro venne fortificato dai Longobardi. In epoca medievale il comune era chiamato Vallis Pratae (Valle di Prata) in quanto dipendente dalla baronia di Prata Sannita. I cittadini di Valle infatti già nel 1300 prestarono giuramento ai conti Pandone, signori di Prata.

Al 1814 risale il distaccamento amministrativo da Prata e la nascita del comune autonomo. Pochi anni prima (1810) la commissione feudale aveva abolito ogni esazione d’imposta nel comune a causa della povertà della gente che vi abitava. Nel 1863 il tradizionale nome del borgo (Valle di Prata) fu mutato in quello attuale (Valle Agricola) e, nel 1874, fu avviata la costruzione di una strada per Ailano al fine di sostituire l’antica via che passava per Prata. Dal 1927 al 1945 Valle Agricola appartenne alla provincia di Benevento come i comuni a sud-est mentre Letino, Gallo Matese, Capriati al V. Ciorlano, Fontegrega, Prata S. e Pratella appartennero alla Provincia di Campobasso a causa della temporanea soppressione della provincia di Caserta.

Ai primi del Novecento l’Amministrazione Provinciale di Caserta concesse alla società elettrica della Campania la derivazione delle acque del fiume Lete prima dell’immissione nelle grotte di Cauto e una parte di terreno in contrada Rava, fino al mulino, al fine di poter costruire in Prata una centrale idroelettrica. Per realizzare quest’opera di alta ingegneria, agli inizi del 1907, la Società Meridionale di Elettricità costruì, al di sopra della Grotta di Cauto una diga di sbarramento del Lete, alta 30 metri e del tipo a gravità, realizzando così a Letino il lago che serviva come bacino idroelettrico.

Queste acque del lago furono convogliate in una tubatura in ferro posta all’interno di una galleria, ottenuta perforando la parte rocciosa, della lunghezza di circa 900 metri, che sbucava sul versante di Prata Sannita e, da questo punto, continuava la condotta forzata lungo la costa della montagna. Tutta la lunghezza della condotta era di circa 1800 metri e l’acqua in essa convogliata scendendo dall’alto azionava le turbine della centrale costruita più a valle e contenente i relativi macchinari (turbine, alternatori, trasformatori e apparecchiature varie).

La centrale idroelettrica o del Lete, fu inaugurata nel 1910. La stessa rimase in funzione fino al 31 ottobre del 1943 data in cui fu fatta saltare in aria dalle truppe tedesche, che battevano in ritirata di fronte agli attacchi delle truppe alleate. Un’altra centrale  dopo il 1969, utilizzò le acque del Lago di Letino attraverso una condotta forzata nel lago artificiale di Gallo Matese per alimentare la centrale idroelettrica alle Streppara o Sterpaia di Capriati al Volturno, ma sono sfruttate anche per il funzionamento della centralina di Gallo Matese lungo la strada che collega con Letino lungo la riva destra del lago, che sottrasse molto terreno fertile in pianura ai gallesi, costretti ad emigrare in Usa soprattutto.

In località Sterpaia sono state rinvenute alcune sepolture e i resti di una cinta muraria megalitica sannitica. In quella stessa zona è stata scoperta anche una lapide romana che parla del culto locale in onore di Saturno, dio dell’agricoltura. Il territorio italiano ha – tra le sue peculiarità – quella di essere costellato da un numero altissimo di piccoli borghi che, dal secondo dopoguerra hanno subito un fenomeno esponenziale di generale spopolamento e, come ulteriore e deteriore effetto collaterale, sono scomparsi in essi la gran parte dei mestieri legati all’artigianato.

I numeri del rapporto dell’osservatorio nazionale sono impietosi: su circa 8000 comuni italiani 5.838 sono censiti e classificati come “paesi abbandonati”. In termini percentuali i comuni abbandonati rappresentano il 72% dei comuni italiani per una superficie territoriale di circa centomila chilometri quadrati. Dei 5838 cd «paesi fantasma», 2831 sono i comuni indicati come borghi già “scomparsi” e cioè centri storici che di fatto si sono estinti dal dopoguerra ad oggi. Agli alti livelli di spopolamento corrisponde anche una fragilità demografica ovvero il numero delle persone che vivono stabilmente nei comuni delle aree interne non solo si è ridotto progressivamente ma l’indice di vecchiaia è divenuto molto superiore alla media nazionale.

Conseguenza dell’aumento della popolazione anziana in generale e la diminuzione di quella giovanile è di aggravamento dello squilibrio ed in prospettiva questa condizione rischia di minare la sostenibilità stessa della condizione sociale ed economica dell’intero Paese. Su base territoriale la problematica interessa prevalentemente il Centro-Sud e le zone appenniniche con il picco di abbandoni totali in Basilicata dove già risultano ben 97 centri estinti.

enomeni gravi si registrano nelle parti più montuose  su tutto l’arco dell’Appennino Meridionale, dall’Abruzzo alla Calabria ed in particolare in Campania e Molise. Sul versante meridionale del Matese, su 17 comuni della Comunità Montana Matese, solo pochi non registrano il calo demografico, raggiunto in modo più preoccupante da Gallo Matese e Ciorlano. Valle Agricola e Letino sono piccoli centri nati adattandosi alla superficie limitata di suolo utile e che aveva in alcuni periodi storici una densità abitativa molto alta.

Le strade sono strette per le primarie ragioni legate alla funzione di difesa del centro con spazi appena sufficienti a lasciare passare i carri o i cavalli solitamente in salita, circondati da mura e dotati di pochi accessi. Anche tra i valligiani e letinesi come per altri borghi medievali, sorsero le arti liberali e i cittadini, artefici del proprio ambiente e dal pensare più liberamente dal pensare del ricco e nobile vassallo. Valle Agricola e Letino sono paesetti che, rispetto alle esigenze abitative moderne, si presentano sostanzialmente “inospitali”. I due borghi suddetti sono parzialmente abitati e sono serviti dai servizi: luce, Tv, gas metano, rete idrica, telefonica e fognaria e solo alcune aree sono inaccessibili.

Per frenarne l’esodo costante da tempo si invoca l’intervento di fondi europei, statali, regionali, provinciali, consorzi e soprintendenza, che giungono sia pure in misura ridotta. A Letino i rioni Perrone e Codacchio sono quasi del tutto abbandonati e al di sopra della piazza centrale del paesetto c’è un esodo costante, frenato da pochi turisti che comprano casa e qualche nostalgico che, pur vissuto decenni lontano, vi è tornato per morirvi come nella nota canzone napoletana “chi è nato a Napoli ci vuole morire”!

Non è solo in Italia che si verifica l’esodo dalla montagna, come quella valligiana e letinese, meno comoda e con poche prospettive di vita al passo con i tempi dei giovanissimi ed adulti che lavorano con più scelta se vivono in economia meno assistita. Anni fa a Valle Agricola, incontrai un padre di famiglia emigrato in Usa, che mi raccontò di essere tornato in vacanza con la famiglia per cercare un marito alla figlia poiché negli Stati Uniti era più difficile che la figlia conoscesse così bene il futuro marito.

Mi fece un po’ tenerezza tale valligiano da 30 anni in Usa, ma queste sono le piccole e grandi storie individuali degli emigranti, che solo in seconda e terza generazione si integrano appieno con le nuove comunità, che hanno raggiunto un benessere diffuso e non paragonabile a quello di Valle A.. Dei vernacoli di Valle Agricola e di Letino mi piace ricordare il canto della pagliarella tra i valligiani e garofano incarnato tra i letinesi. Come a Valle Agricola si usa dire “alue, alue!” a Letino si dice “chi ndrppca e nu car avanza caminu” (Chi inciampa e non cade fa più strada”). Se dovessi descrivere il carattere dei valligiani in 6 aggettivi direi: solari, ottimisti, realisti, orgogliosi, tenaci e disponibili. Per i letinesi, invece: dinamici, sinceri, accoglienti, intransigenti, creduloni e testardi. Per entrambi i paesetti matesini, vale il monito di uno scrittore israeliano “Ogni paese è mondo ma questi due paesi, da me accennati, sono unici al mondo”!

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