Donne assassine. Quando le psicologhe manipolano, il caso Alessia Pifferi: 2 indagate con l’avvocata della donna, falso test intellettivo.

Quando le psicologhe sono di parte e svolgono una “vera e propria attività di consulenza difensiva, non rientrante” nelle loro “competenze”. Dalla Quadri alla Boccagna… Domanda: è un caso isolato o questi “aggiustamenti” in chiave difensiva si verificano spesso?
Colloqui clinici in cella “con ritmo frenetico” prima e dopo le udienze del processo per omicidio. “Test psicoattitudinali realizzati in violazione dei protocolli”. Alla base dei presunti illeciti commessi, un movente “antisociale”. Tra le perizie contestate alle due specialiste di 44 e 59 anni, dipendenti dell’Asst Santi Paolo e Carlo di Milano, ce sono anche altre, realizzate per altre 4 detenute: tra queste Lucia Finetti condannata all’ergastolo per l’omicidio del marito e Patrizia Coluzzi, condannata a 12 anni per aver soffocato e ucciso la sua bambina di 2 anni.
Per questo sono indagate dalla Procura di Milano le due psicologhe che dal carcere di San Vittore hanno assistito la donna assassina Alessia Pifferi: le accuse, gravissime, sono di favoreggiamento e falso ideologico, così come è indagata l’avvocato Alessia Pontenani che segue la 37enne Pifferi accusata di omicidio volontario aggravato, per la morte di stenti della figlia Diana di soli 18 mesi lasciandola sola a casa per una settimana per raggiungere l’amante.
Secondo il pm Francesco De Tommasi, sarebbe stato attestato “falsamente” che la donna “aveva un quoziente intellettivo pari a 40 e quindi un ‘deficit grave’ “, con un test non “utilizzabile a fini diagnostici e valutativi”. E le due psicologhe avrebbero svolto, secondo il pm, una “vera e propria attività di consulenza difensiva, non rientrante” nelle loro “competenze”. La polizia penitenziaria sta eseguendo perquisizioni nei confronti delle due professioniste.
Alla base dei presunti illeciti commessi da una delle due psicologhe ci sarebbe un movente “antisociale”, anche perché, come risulterebbe da alcune conversazioni intercettate, la professionista, 58 anni, avrebbe detto che con la sua attività voleva scardinare il sistema, “goccia dopo goccia”, salvando quelle che lei riteneva vittime della giustizia.
Avrebbero pertanto raccolto diversi elementi, tra cui anche intercettazioni effettuate in carcere, per approfondire pure la “gestione” da parte delle psicologhe, e in particolare della 58enne, di altre detenute. Agli atti anche una telefonata tra la psicologa e l’avvocatessa, nella quale le due si sarebbero complimentate a vicenda dopo l’effettuazione su Pifferi e gli esiti del test psicodiagnostico di Wais, secondo cui la Pifferi avrebbe un quoziente intellettivo da bambina. Test considerato non “fruibile né utilizzabile a fini diagnostici e valutativi”.
I consulenti della Procura hanno parlato di colloqui clinici avvenuti in cella “con ritmo frenetico” prima e dopo le udienze del processo per omicidio, anche a distanza di pochi giorni, di test psicoattitudinali realizzate in violazione dei protocolli, con un atteggiamento da parte delle psicologhe non di “descrizione clinica” ma di “estrapolazione deduttiva di una vera e propria tesi difensiva”.
Alle due psicologhe sono contestati più episodi in relazione alle accuse: “È nostro dovere esternare una forte perplessità rispetto ad una apparente prassi che, come ripetiamo, nella nostra piuttosto ampia esperienza, non abbiamo mai visto applicare a nessun altro detenuto”, avevano scritto gli psichiatri Marco Lagazzi e Alice Natoli, consulenti della Procura, in una relazione depositata alla Corte d’Assise nel processo in corso. Una relazione nella quale hanno criticato fortemente l’operato delle psicologhe.
Quel test psicometrico Wais ha stabilito che Pifferi, in pratica, ha un ritardo mentale. “Il contributo delle psicologhe è già stato ampiamente discusso – si legge nella consulenza – e non si può non essere perplessi per l’attuazione di un test che non ha nulla a che fare con la gestione penitenziaria ma è utile per la difesa penale, e per una intensiva rilettura del caso fatta con l’imputata di un così grave reato. L’impressione che si trae da tutto questo è che ciò renda tra l’altro ormai inutile qualsiasi esame peritale, perché valuterebbe non i vissuti della persona, ma ciò che la stessa ha riferito di avere appreso e discusso nel lavoro con le psicologhe, unitamente al suo deresponsabilizzante convincimento di essere lei stessa una bambina (dati gli esiti del test sul quoziente intellettivo, ndr), sempre espresso dalla psicologa”.
Da qui, secondo i pm, una presunta “manipolazione” sull’imputata.
Intanto sarà depositata a fine febbraio la perizia psichiatrica disposta dalla Corte d’Assise (presidente Ilio Mannucci Pacini) per valutare la capacità di intendere e volere della donna. Perizia richiesta dalla difesa che ha valorizzato, tra le altre cose, proprio gli esiti della relazione delle due psicologhe, parlando di un “gravissimo ritardo mentale” della donna, che ha “un quoziente intellettivo di una bimba di 7 anni”.
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