GIOIA SANNITICA / PIANA DI MONTE VERNA. Sversati rifiuti speciali nel fiume Volturno: posto agli arresti domiciliari il titolare di Foreste Molisane. Un ex dipendente si autodenuncia.
Gravante è il titolare delle note aziende del settore zootecnico per la produzione di latte ‘Foreste Molisane’, con allevamenti dislocati nel Comune di Gioia Sannitica
Questa mattina gli agenti del Comando Provinciale del Corpo Forestale dello Stato di Caserta ha eseguito l’ordinanza cautelare (applicativa degli arresti domiciliari) emessa dal GIP del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, su richiesta della Procura, a carico di Giuseppe Gravante, 75enne di Piana di Monteverna, per il reato di violenza o minaccia per costringere a commettere un reato. Gravante è il titolare delle note aziende del settore zootecnico per la produzione di latte ‘Foreste Molisane’, con allevamenti dislocati nel Comune di Gioia Sannitica. Gravante, con la minaccia del licenziamento, costringeva alcuni suoi dipendenti dell’azienda agricola a indirizzo zootecnico a lui facente capo (la NAT.ALI Soc. Agr. s.r.l., con sede legale in Gioia Sannitica – località “Fossolagno”) ad espletare attività illecita consistenti nello smaltimento, direttamente nel fiume Volturno, degli effluenti dell’allevamento di bestiame e dei reflui provenienti dalle sale di mungitura; nello sversamento, con le stesse modalità, delle acque di lavaggio delle stalle e delle sale di mungitura, addizionate a prodotti detergenti ed acidi di notevole intensità; negli interramenti e bruciamenti di rifiuti speciali.
Le indagini sono state avviate a seguito di denuncia presentata da un ex dipendente di Gravante, il quale si è autodenunciato, per asserito senso civico, ammettendo di aver preso parte per lunghi anni alla commissione di siffatte condotte illecite e di averle poste in essere su ordine del Gravante, sotto stringenti minacce di licenziamento ove non avesse adempiuto. La denuncia ha trovato immediato riscontro investigativo con il rinvenimento nell’azienda del Gravante di un’attività di smaltimento illecito di rifiuti speciali effettuata direttamente nel fiume Volturno, grazie a un sistema di pompe idrauliche nascoste e canalizzazioni approntate all’occorrenza. L’attività di smaltimento, consumatasi dal 1994 fino a qualche mese fa, veniva svolta con modalità tali da eludere i controlli: ad esempio, in orario serale e notturno, oppure in occasione di piogge e temporali, approfittando, in tal caso, della circostanza che le acque del fiume fossero state rese limacciose dalle acque piovane. Alla prima autodenuncia sono seguite ben presto ulteriori circostanziate e concordanti dichiarazioni da parte di altri ex dipendenti, i quali hanno, allo stesso modo del primo dichiarante, ammesso di essere stati “costretti” a porre in essere siffatti reati con la minaccia di essere licenziati. Tutti i suddetti ex dipendenti sono ora indagati a piede libero per il reato previsto e punito dall’art. 256 d.lgs. n. 152/2006, relativamente all’attività di gestione non autorizzata di rifiuti. Per avere un’idea della gravita dell’inquinamento arrecato dagli sversamenti illeciti nel fiume Volturno basti pensare che un allevamento bovino come quello in oggetto, della consistenza di tremila/tremilacinqucento capi, rilascia un carico organico specifico (cioè la quantità di sostanze organiche provenienti da un’utenza civile – o da utenza a questa assimilabile – convogliate in fognatura nell’arco temporale di un giorno) pari a quello di una città di circa 24.000 persone.
Anche i rifiuti speciali prodotti dalle attività dello stabilimento di imbottigliamento del latte venivano smaltiti illecitamente nel terreno aziendale sito nel comune di Gioia Sannitica, all’interno di grosse buche all’uopo predisposte, con attività di tombamento e bruciamento di rifiuti. Un dipendente ha dichiarato che, all’epoca della centrale del latte, e comunque dal 1994 fino al 2008, ogni giorno si sono interrati e bruciati, su una superficie di circa 100 mq e a una profondità di circa 3 metri, tutti gli scarti dell’azienda (bottiglie in tetrapack, in p.e. ed in pet, nonché etichette di carta e plastica), per un equivalente di circa 6,5 quintali al giorno. Così si operava, naturalmente, al fine di ottenere un risparmio sui costi di smaltimento, che si aggiravano sui 30 centesimi circa al chilo, oltre i costi di trasporto e affitto dei cassoni. Facendo un rapido calcolo, approssimato per difetto, e moltiplicando il risparmio giornaliero (200 euro) per 365 giorni, può quantificarsi il risparmio di un anno in 72.000 euro, e quello dei 15 anni effettivi di attività, in circa un milione di euro, risparmiati a scapito delle matrici ambientali, e cioè inquinando acqua, terreni e aria. Tutto ciò è avvenuto in terreni siti nel comune di Gioia Sannitica, cioè del comune che, nel 2007, ha ritenuto di conferire all’odierno indagato la cittadinanza onoraria, in quanto “re del latte”.
Il latte scaduto commercializzato. Nell’ordinanza del Gip si legge che “…l’indagato: ‘..in realtà non voleva proprio sentir parlare del problema dei rifiuti. Pretendeva che gli scarichi fossero eliminati, pur senza fornirci mezzi adatti… questa era diventata una prassi’ “. In virtù della logica del profitto si realizzavano arricchimenti criminali. Si legge ancora nell’ordinanza del GIP:”…la situazione era insostenibile, gli animali erano immersi nei liquami. I liquami tracimavano ed intanto il Gravante riceveva un sussidio pubblico di circa 70 euro per il benessere di ciascun animale “. In sostanza Gravante non solo smaltiva illecitamente gli effluenti zootecnici, con relativo risparmio di impresa, ma, al contempo, riceveva anche il contributo pubblico per il benessere di ciascun capo bovino che, nel frattempo, però, viveva ed annegava nei suddetti liquami. Al danno si aggiungeva quindi la beffa. Ed ancora sempre uno dei dipendenti raccontava: “…spesso il reso delle bottiglie veniva nuovamente distribuito per la produzione in corso e mischiato al latte fresco”. In sostanza, il latte scaduto veniva mischiato con quello in lavorazione e poi commercializzato. Animali, terreni, acque, consumatori trattati tutti come meri strumenti per realizzare profitti a qualsiasi costo, in una logica del tutto contraria alla cultura contadina che, asseritamente, dovrebbe ispirare le imprese agricole e spingerle verso la gelosa tutela dei beni naturali, unica e preziosa loro risorsa.