GALLO MATESE / ALIFE / BOJANO. Studiosi di minerali e fossili dei monti del Matese tra Campania e Molise.

a Fontegreca, poco dopo di Santa Maria della Neve… a Bojano, dietro a monte Crocella… nelle cave di San Michele d’Alife… i fossili di San Polo Matese… alla Civita di Cusano Mutri… l colto storico di Piedimonte d’Alife, Dante Bruno Marrocco

di Giuseppe Pace

Prima di visitare, a più riprese il giacimento fossilifero di Bolca, dove esiste anche un museo paleontologico privato, che apre a tutte le ore e giorni festivi, a seconda delle esigenze temporali del visitatore i musei di paleontologia dell’Argentina, Kenya, Usa, Romania, ecc. ho ammirato ed apprezzato, in parte, anche i fossili del Matese nativo. Lungo la strada che da Gallo Matese scende a Fontegreca, poco dopo di Santa Maria della Neve, si vede la cava abbandonata di minerali di ferro. A Bojano, dietro a monte Crocella vi è la grossa cava, analogamente dicasi per il Matese isernino vicino Sat’Agapito.

Nelle cave di San Michele d’Alife pare ci sia magnesio da ricavare bene. Il magnesio è presente nelle varie acque matesine come la più nota Lete e ha tra le sue proprietà il rilassamento muscolare, che ho, con un volo pindarico e poetico, intravisto come causa dell’oblio del fiume Lete, che a Letino, nella sua alta valle, fece decidere alla principessa greca Letizia di restare lassù sui monti per sempre e fondare Letino. Dal centro di Piedimonte Matese è comodo visitare uno spaccato dell’intero massiccio montuoso, inoltrandosi a piedi dietro la fontana davanti il cancello dell’Acquedotto Campano, che emunge acqua del Torano per donarla a Napoli, analogamente alle tre sorgenti del Biferno di Bojano. Lo spaccato geologico lo si osserva dunque alla Sorgente della bassa valle del Torano, nella fossa tettonica e fluviale tra la ripida parete rocciosa con Castello del Matese sopra e la meno ripida che fa intravvedere l’oasi monastica francescana di San Pasquale.

Ebbene là, tra un basamento dolomitico fino a oltre 400 metri, affiora il basamento roccioso dolomitico del Giurassico superiore e il cappello carbonatico del Cretacico che poi raggiunge la vetta di monte Miletto. Analogamente si può osservare la geostratigrafia matesina alla sorgente delle Pietrecadute di Bojano. Sulle due fiancate del Matese sono presenti sia grotte carsiche, che sorgenti nonché minerali e dossi geologici meno antichi con sabbie. Il fianco nord matesino, quello molisano, è meno eroso dal carsismo e più ricco di boschi e manto argilloso superficiale. Le cave si trovano più frequenti al lato nord per la presenza di un cementificio e nucleo industriale. A Letino ricordo le non poche cave di sabbia “la rena” da costruzione che, in gran parte, mio padre realizzò a Serra Monte, Costa del Cerro e alla Cava, località più vicina al paesetto montano, il più alto del Matese

Salendo, verso sud, di lato alla stazione di partenza della funivia si trova la cava di manganese che veniva coltivata negli anni Trenta dello scorso secolo come ricordano alcune donne di San Massimo. Nelle cave abbandonate di Campitello Matese si estraevano mnerali di manganese negli anni 1936-38. Quello più diffuso era un condrite frammisto a pietre calcaree dell’Eocene. La manganite è un minerale formato da idrossido di manganese (Mn2O3•H2O) che si presenta in cristalli prismatici della classe piramidale rombica, talvolta geminati, ma più spesso in masse compatte anche terrose, misto ad altri minerali di manganese, come pure in dendriti in varie rocce eoceniche. Ha durezza 4, peso specifico fra 4,2 e 4,4, colore nero, con scalfittura bruna rossastra. I più notevoli cristalli di manganite provengono, in Italia, da miniera di manganese della Toscana, dell’Emilia, della Liguria, nel feldspato detto petunzè all’isola d’Elba e nella granulite dell’arcipelago della Maddalena in Sardegna.

Alla Civita di Cusano Mutri, invece, sulle falde meridionali del Mutria si estraeva il minerale d’alluminio, bauxite- sesquiossido di alluminio- in notevole quantità e le miniere abbandonate sono un emblematico esempio di archeologia industriale mineraria da visitare. Il Matese, massiccio montuoso esteso circa 1500 kmq tra Molise e Campania, racchiude molti segreti naturalistici come minerali e fossili sui quali ho scritto anch’io come ad esempio mi gratifica ricordare la miniera di manganese a Campitello Matese del territorio del comune di San Massimo (CB), l’alluminio, come ossido di bauxite a Cusano Mutri (BN), i fossili di Isernia alla Pineta, quelli di San Polo Matese (CB) e di Pietraroja (BN). Il fossile più noto di Pietraroja è il Celurosauro “Scipionyx samniticus”, grazie anche al paleontologo veneto, Cristiano Dal Sasso, che  ha pubblicato  insieme a Simone Maganuco, sulla nota rivista scientifica americana, Nature.

Alla Pineta d’Isernia tra il fiumi Carpino e Cavaliere, i fossili faunistici rinvenuti sono molti e appartengono a più specie come  bisonti, elefanti e rinoceronti sono gli animali più frequenti, mentre meno frequenti sono orsi, ippopotami, cinghiali, daini, megaceri, ma anche una Panthera leo fossilis. Il sito è il più antico d’Europa  più antica d’Europa, con fossili datati a più di 700.000 anni fa. Nel 2014, nell’area di scavo, è stato ritrovato un dente da latte (precisamente primo incisivo superiore sinistro da latte) di un bambino di circa 6-7 anni risalente a 586 000 anni fa ed è grande circa 7 millimetri. La notizia è stata divulgata l’8 luglio 2014, al termine delle prime indagini, ma il rinvenimento risaliva a due mesi prima.

È, ad oggi, il reperto di bambino più antico d’Italia e, oltre ad essere un reperto di importanza eccezionale, fornisce una testimonianza ancor più certa del passaggio dell’uomo in quell’area.  La scoperta del sito paleolitico ha portato a Isernia scienziati e giornalisti specializzati come la rivista Nature, che nel 1988, ha dedicato una delle sue copertine proprio al ritrovamento de La Pineta; l’Unesco lo ha riconosciuto come sito di importanza europea assegnandogli lo Scudo Blu Internazionale, garantendo così la sua tutela in caso di conflitti armati o calamità naturali. L’area è aperta e accessibile a tutti i visitatori. Sul luogo della scoperta è sorto il modernissimo Museo Nazionale del Paleolitico di Isernia, con diversi padiglioni dove si possono osservare una parte del suolo preistorico portato alla luce. Non pochi sono gli appassionati che hanno scritto dei fossili del Matese come E. Di Iorio, monaco del monastero di San Francesco di Campobasso, che scriveva pure su Molise Economico, con me.

Altro appassionato che ha molto scritto sui fossili di rudiste di San Polo Matese è stato il maestro Michele Mainelli di Bojano (CB), che i bojanesi in politica hanno promosso con bacheca paleontologica in piazza Roma. Mainelli così scriveva:””Questi fossili sono documenti che tramandatici dalla Natura, ci rendono testimonianza, in un colloquio col passato, della vita di esseri vissuti nel mare che occupava l’attuale Matese. Osservare e studiare tali “documenti” è un poco come rivivere quel passato che ci spinge a meditare su tanti problemi di grande interesse conoscitivo, quali, tra gli altri, quelli relativi alla nascita della Vita sulla Terra e all’ evoluzione dei viventi attraverso il tempo.

I fossili del Matese, vari ed abbondanti, anche se molto incompletamente rappresentativi di tutti i viventi che popolavano il mare della piattaforma carbonatica, sono distinti in Ittioliti, Rettili, Anfibi, Crostacei, Bivalvi, Gasteropodi, Brachiopodi, Antozoi, Briozoi, Echinodermi, Poriferi, Anellidi, Foraminiferi, Alghe. Nel Matese predominano i Bivalvi con le Rudiste le quali, per la loro notevole diffusione, danno il nome a quasi tutte le associazioni faunistiche delle successioni paleobiologiche. Col nome generico di Rudiste si indicano alcune famiglie di Bivalvi che, sviluppando le loro strutture in forme specializzate (una valva fissa al fondo generalmente più grande dell’altra fungente da opercolo), vissero in particolari ambienti di mare sottile dell’antico Tetide del Mesozoico, mare esteso tra i due supercontinenti Gondwana e Laurasia. In particolare le rudiste vivevano in ambienti neritici di mare tropicale, ad acque limpide, basse, bene penetrate dalla luce, calde, senza variazioni sensibili di temperatura e salinità, bene ossigenate, favorite da correnti moderate. Nel contesto del Matese gli ambienti di vita delle Rudiste erano distinti da fondali di piattaforma carbonatica (scogliere e retroscogliere), a circolazione aperta delle acque”. Con +Michele Mainelli e +Nicola Patullo, altro bojanese appassionato anche di fossili, sono stato a ricercare fossili su monte La Costa ad est di Civita di Bojano come sono stato con Filippo Barattolo che cercava un’alga del Cretacico ad ovest del Lago Matese, che Giuseppe Volpe descriveva, erroneamente, lago vulcanico nel 1800. Nel 1700 fu il medico e geologo venafrano che descrisse le rocce di monte Miletto.

Ma il primo a parlarmi, con entusiasmo trascinante noi giovanissimi campeggisti sull’alto Matese, di fossili di Pietraroja, fu il colto storico di Piedimonte d’Alife, Dante Bruno Marrocco, presidente dell’Associazione Storica del Medio Volturno dal 1965, figlio di Raffaele che fondò e diresse l’Associazione Storica del Sannio Alifano del 1915. Mentre i fossili de La Pineta d’Isernia, prevalentemente mammiferi del Quaternario inferiore come la capanna dell’Homo erectus detto, impropriamente, ”Homo aesernensis” furono esaminati da paleontologi dell’Università di Ferrara, quelli di Pietraroja, in prevalenza, furono dell’università di Napoli. A parlare di museo diffuso sul territorio di Cusano Mutri fu il prof. S. Bravi al convegno del 31 gennaio 199 sullo sviluppo economico dell’alta valle del Titerno, che, suppongo non molto indirettamente, condivise la mia relazione che seguì lasua sulla galleria del Matese. di fossili Esiste una bibliografia scientifica su Pietraroja, che mi fa notare luminari di livello internazionale sia di Geografia fisica che paleontologia. Molti conoscevano bene anche i fossili di Bolca sui monti Lessini delle prealpi venete, prima di quelli più antichi di Pietraroja. La bibliografia scientifica di Pietraroja è curata  da Cristiano Dal Sasso e Antonello Bartiromo: Breislak S., 1798 – Topografia fisica della Campania, Pilla L. 1833. Osservazioni geognostiche sulla parte settentrionale e meridionale della Campania. Annali Civili del Regno delle Due Sicilie, Napoli. Covelli M. 1839. Memoria per servire di materiale alla costituzione geologica della Campania. Atti della Reale Accedemia delle Scienze in Napoli. Costa O. G., 1847,1851 e 1857 Su di una roccia calcarea di Pietraroja. Annali dell’Accademia degli Aspiranti Naturalisti in Napoli,

Notizie intorno agli scavi recentemente condotti nella roccia ad ittioliti di Pietraroja. Volpe G. 1864. Sull’origine del Matese. Memoria letta alla Reale Società Economica di Napoli Campobasso il 5 giugno 1864, Campobasso.  Bassani F. 1883, 1885 e 1892. Cassetti M. 1893. Appunti geologici sul Matese. Bollettino Regio Comitato Geologico d’Italia 24, 329-342. De Lorenzo G. 1896. Studi di geologia nell’Appennino meridionale. Atti Acc. Scienze Fisiche e Mat. Woodward A.S. 1901. Catalogue of the fossil fishes in the British Museum (Natural History). Part III. London. Pasquale M. 1903. Revisione dei Selaci fossili dell’Italia meridionale. Atti della Reale Accademia delle Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali in Napoli. D’Erasmo G. 1911, 1915 e 1941. Risultati ottenuti dallo studio di alcuni Actinopterigii del calcare cretaceo di Pietraroja in provincia di Benevento. Atti della Società Italiana per il Progresso delle Scienze. Galdieri, A., 1913.

Osservazioni sui calcari di Pietraroja in Provincia di Benevento. Rendiconti della Reale Accademia di Scienze fisiche e matematiche di Napoli, fascicoli. Niccolò Braucci da Caivano (1719-1774) e della sua opera inedita dal titolo Istoria Naturale della Campania Sotterranea. Atti della Reale Accademia delle Scienze fisiche e matematiche della Società Reale di Napoli. Selli, R., 1957. Sulla trasgressione del Miocene nell’Italia meridionale. Giornale di Geologia 26, 1- 54. Catenacci E., De Castro P., Sgrosso I. 1963. Complessi guida nel Mesozoico del Matese orientale. Bibliografia scientifica su Pietraroja Ente Geopaleontologico di Pietraroja 3 Memorie della Società Geologica Italiana. D’Argenio B., 1963a – I calcari ad ittioliti del Cretacico inferiore del Matese. Atti Accademia Scientifica Fisica e Matematica di Napoli, Napoli. D’Argenio B. 1963b. Fossette di degassazione nei calcari ad ittioliti della Civita di Pietraroja in provincia di Benevento. Bollettino della Società dei Naturalisti in Napoli. Scandone P., Sgrosso I. 1965. Il “trabucco” della Civita di Pietraroja (Matese orientale). Bollettino della Società dei Naturalisti in Napoli.

Una incisione miocenica riesumata, sul margine della piattaforma carbonatica abruzzese-campana. Bravi S., 1987, 1988 e 1999 – Contributo allo studio del giacimento ad ittioliti di Pietraroja (Benevento). Dipartimento di Paleontologia, Università degli Studi di Napoli “Federico II” e Contributo allo studio del giacimento ad Ittioliti di Pietraroja (Benevento). Quasi tutti gli studi sui fossili, di Pietraroja in particolare, sembrano finalizzati anche alle carriere universitarie. Pochi sono quelli che fanno eccezione. C. Dal Sasso, prima citato,  ha detto a Benevento: «Noi paleontologi italiani abbiamo fatto tutto il possibile per far conoscere Ciro e personalmente ho molto a cuore questo dinosauro come se fosse un figlio. Sarebbe bello però che anche localmente si promuovesse maggiormente la presenza del dinosauro, dato che non tutti i beneventani sanno che è qui. Anche il giacimento di Pietraroja andrebbe maggiormente valorizzato e se ciò accadesse credo che potrebbe restituirci altre sorprese. Ci sono, infatti, diversi livelli fossiliferi non ancora indagati a fondo e alcuni di questi stati potrebbero restituire dei nuovi fossili e divenire parte di un corpus espositivo di grande attrattiva turistica».

A volte ho l’impressione che lo scarso pubblico che affluisce nei musei naturalistici italiani in particolare sia dovuto, oltre che alla ottusa burocrazia che amministra i musei medesimi, al difficile linguaggio di non pochi specialisti, che sono abituati a non volgarizzare la scienza. Forse non sanno che il popolo volgare di un tempo, prima del 1973 quando termina il boom economico italiano, non esiste quasi più perché tutti hanno frequentato le scuole, non più elitarie e prima ancora nobiliari, e sono abituati al linguaggio scientifico comprensibile. Parafrasando A. Einstein ”non esiste il sapere difficile e facile, ma il linguaggio facile e difficile, quest’ultimo allontana i più dai saperi scientifici”. Egli si riferiva soprattutto alla Matematica che è poco ben voluta da molti studenti, italiani soprattutto. Einstein dunque ci dice che è il linguaggio difficile che allontana il giovanissimo dall’apprendere bene la matematica ed altri saperi scientifici.

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