ALIFE / MARCIANISE / BENEVENTO. Una Zes, nessuna Zes. Un solo Sud, nessun Sud.

Il Ministro per l’attuazione del Pnrr, Raffaele Fitto, ha chiesto all’Europa di fare di tutto il Mezzogiorno una zona economica speciale. Per questa via il governo Meloni ha formalmente rinunciato ad una politica di sviluppo per il Sud. Ecco perché

di Marco Staglianò

Formalizzando alla Commissione Europea la richiesta di estendere i benefici delle zone economiche speciali a tutto il Mezzogiorno, il governo italiano, nella persona del Ministro per gli Affari europei, per le politiche di coesione e per l’attuazione del Pnrr, Raffaele Fitto, ha di fatto rinunciato ad una politica di sviluppo per il Sud rinnegando l’assunto di fondo che ispira il Next Generation Eu, lo stesso assunto su cui Svimez insiste ormai da molti anni, l’assunto che spinse il governo Gentiloni, nell’ormai lontano 2017, a concepire lo strumento delle Zes con l’ambizione di individuare pochi sistemi territoriali nel contesto meridionale, baricentrici in funzione della collocazione geografica, naturalmente votati ad ospitare snodi infrastrutturali strategici, sui quali investire prevedendo particolari agevolazioni di natura fiscale e burocratica per attrarre nuovi ed importanti investimenti dal resto del Paese o dall’estero.

L’assunto secondo cui la partita del futuro, nella vecchia Europa, si gioca sulla interconnessione tra mari e porti, sulla retro-portualità e sulla logistica, un assunto che restituisce al Mezzogiorno una centralità strategica per l’intero continente e che impone il coraggio di una visione a cui questo esecutivo, evidentemente, ha deciso di rinunciare per cedere alla scorciatoia delle politiche di incentivi generalizzate per il Mezzogiorno che nulla hanno prodotto nel corso dei decenni, se non sprechi e immobilismo.

Se non c’è dubbio che le prospettive di crescita del Bel Paese dipendono essenzialmente dalle prospettive di crescita del Mezzogiorno il punto di partenza per la definizione di una visione cucita su questo presupposto è da ricercare nella consapevolezza che non tutto il Sud è uguale, dunque nella necessità di investire prioritariamente sulla centralità di taluni sistemi territoriali funzionali al perseguimento di obiettivi strategici irrinunciabili per ricollocare il Meridione d’Italia nelle dinamiche della modernità. E se, come detto, la sfida di questo tempo è la sfida della interconnessione tra porti e mari, della retro-portualità e della logistica è del tutto evidente che la partita si gioca sulle diagonali, sulla centralità dei territori interni e marginali del nostro Sud, i territori che fanno da cerniera tra est e ovest. È lì che occorre investire prioritariamente in termini infrastrutturali è lì che occorre intervenire garantendo incentivi, investimenti, facilitazioni e strumenti volti ad attrarre nuovi insediamenti.

Nel momento in cui, viceversa, si rinuncia ad individuare priorità ed obiettivi strategici, nel momento in cui si cede alla pretesa di fare del Mezzogiorno un unicum indistinto, si rinuncia all’ambizione di definire una visione strategica. Estendere tutti i benefici riconosciuti alle otto aree Zes individuate a tutto il territorio meridionale significa cancellare le differenze, negare la centralità strategica di quei sistemi territoriali per il sistema Italia, vuol dire rinunciare a decidere, rinunciare ad una rotta per proseguire a tentoni, vuol dire rinunciare a perseguire una vera politica di sviluppo per il Sud.

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